« (…) io non biasimo chi vuole conquistare un impero, ma chi è troppo disposto a sottomettersi, perché gli uomini sempre per natura comandano su chi cede, si difendono da chi li attacca.»

Tucidide, 4. 61,5

Parole che lo storico ateniese mette in bocca al siracusano Ermocrate, il quale cerca così di stimolare i suoi concittadini alla resistenza contro gli invasori: i quali sono altri greci. Vale a dire la grande spedizione ateniese salpata per chiudere, in Attica sperano vittoriosamente, la lunga guerra contro Sparta e i suoi alleati. Passerà alla storia come quella del Peloponneso.

Qui non interessa cosa sia successo in seguito, ma l’attualità del concetto. Perché è senz’altro valido anche ai giorni nostri. Soprattutto nell’autunno del 2023. Chi viene percepito debole, viene attaccato. In ogni forma. Sempre di più, però, in modo diretto, militare. È successo all’Ucraina nel 2022, a una lunga serie di stati africani e asiatici negli ultimi anni, adesso tocca a Israele. Se non è ancora capitato a Taiwan è solo perché l’isola viene ancora percepita come un osso troppo duro da Pechino, sia in sé che per il permanente appoggio diretto americano. Non è certo un caso che due task-force imperniate su portaerei d’attacco si siano prontamente posizionate al largo della costa israeliana nei giorni scorsi: la loro missione è dare profondità strategica a Tsahal, le Forze Armate d’Israele, garantendo che proprio da lì, dal mare, non solo non correrà alcun pericolo, ma che le vie d’acqua trans-mediterranee resteranno aperte, per rifornimenti ed eventuali soccorsi. Rappresentano la sua retrovia. Oltre che, naturalmente, integrare ed eventualmente supplire a vuoti nel sistema di allerta precoce e difesa missilistica, che pure Israele dovrebbe possedere con grande ridondanza. Già, dovrebbe…

Due osservazioni a questo punto. La prima: l’US Navy sta svolgendo esattamente lo stesso compito che fu delle flotte di Pisa, Genova e Venezia nei confronti degli stati latini, sorti a partire dalla Prima Crociata. Un dato poco noto in genere, direi sconosciuto in Italia, ma che la storia ci consegna. Senza le flotte italiane la Gerusalemme cristiana non sarebbe nemmeno mai nata. Al punto che si deve a un genovese, Guglielmo Embriaco, detto Testadimaglio per via dello smisurato coraggio e una certa qual ostinazione di carattere, e ai suoi formidabili balestrieri la vera conquista della stessa città di Gerusalemme. La seconda: Israele ha mostrato delle insospettate debolezze. Hanno fallito i suoi servizi segreti, lo Shin Bet in particolare; le barriere elettroniche, accecate o distrutte o aggirate senza particolari problemi dagli uomini di Hamas; donne e uomini sul terreno, troppo confidenti o distratti e comunque poco o per nulla reattivi.

Eravamo abituati a pensare ai kibbtuzin come a coloni-guerrieri con il fucile carico ai piedi del letto, pronti a scattare al primo delinearsi di un qualsiasi pericolo. A quanto pare non è così. Per meglio dire, non è più così. Anche in Israele, paese da sempre in guerra e con il concreto pericolo di venire spazzato via. Gli assaltatori di Hamas hanno perforato senza difficoltà ogni ostacolo, penetrando all’interno dei villaggi e in ogni singola casa. Senza incontrare resistenza. Ci sono volute molte ore prima che Tsahal si mettesse in moto e anche quando le prime squadre delle Forze Speciali sono arrivate sul posto, hanno ripreso il controllo del terreno con fatica e troppe perdite. Conclusione. Israele può essere colto di sorpresa, forse anche sconfitto. Per questo l’US Navy sta stendendo una cintura difensiva attorno allo stato ebraico, dal Golfo Persico al Mediterraneo via Mar Rosso, mentre batterie di Patriots sono già dislocate a rinforzare quelle dell’Iron Dome, saturato dalla massa dei razzi islamisti. Certo, occorrerebbe qualcosa di più e di meglio delle bande di tagliagole di Hamas per avere ragione di Tsahal, tuttavia il numero è sempre la migliore garanzia di successo, come ricordava già Clausewitz. C’è da riflettere, insomma. Cioè, quando tenteremo di fare adesso.

Ho citato Tucidide all’inizio. Lo storico ateniese non è un personaggio qualunque. Protagonista degli eventi che narra, osservatore disincantato e acuto, è universalmente considerato a tutt’oggi uno degli autori imprescindibili in campo storico. Il che significa per la riflessione geostrategica, sulla base del concetto di pan-storia coniato a suo tempo da Jacques Le Goff, vale a dire della storia come scienza globale dell’uomo. Una “mente” a cui rivolgersi quando “grande è la confusione sotto il Cielo”, insomma. Questo perché Tucidide ha riassunto in maniera sintetica, ma del tutto efficace, la dinamica geopolitica di ogni tempo. Infatti, la specie aggressiva homo sapiens tende a sopraffare i suoi simili per conquistare il Pianeta e per questo ha creato la forma-stato. Strumento di rara efficacia per raggiungere la sua meta e cioè il dominio del Mondo. Chi non s’impone, viene sottomesso. Rinunciare alla competizione significa votarsi a essere sudditi.  È sempre stato così. Al momento non sembra che le cose possano cambiare.

La forma-stato, dicevo. Verso la quale ogni aggregazione politica e anche sociale tende inesorabilmente a evolvere. Perché è la più efficiente per dare corpo all’aspirazione di base. Abbiamo infiniti esempi di movimenti rivoluzionari e/o religiosi tesi alla catarsi morale dei singoli e dei gruppi sociali che, una volta raggiunto il potere, si trasformano in moro radicale e tendono a “farsi” stato con tutto quanto ne consegue. Stabilizzatisi all’interno, cominciano a guardarsi attorno, ad annusare l’aria in un certo senso. Per vedere verso dove ci si può muovere per espandere la sfera d’influenza. Culturale, economica, finanziaria, politica, militare. In vista dell’ultimo balzo, l’imposizione della propria egemonia. Ovunque. Se a qualcuno questa descrizione fa venire in mente la Cina Repubblica Popolare colpisce nel segno. È proprio così. La storia, poi, con la lunga tradizione del Celeste Impero aiuta fornendo un Mito già pronto. E il Mito, come noto, è necessario fondamento della potenza.

Da qui l’incontro con il Russkij Mir, ideologia di base del putinismo, altro Mito all’origine filosofica dell’attacco all’Ucraina nel febbraio 2022. Celeste Impero e Russkij Mir hanno pure il pregio di risultare complementari, compattando geograficamente il Cuore del Mondo, Heartland, caro a Mackinder. A questo punto basta un nemico: gli Usa sul piano geostrategico, Impero di Mare dominatore del Rimland di Spykman, e il Mito dell’Occidente democratico-capitalistico sono lì a fornirne uno di perfetto. La motivazione per combattere il bellum iustum, come amavano definirlo i nostri progenitori romani, è servita. Lo scontro non è di “civiltà”, per usare il fallimentare concetto di Huntigton che al pari di Fukuyama e la sua “fine della Storia” poco o nulla aveva capito, bensì di potere: a Mosca e Pechino vogliono semplicemente prendere il posto di Washington oggi, che fu di Londra nell’Ottocento, di Parigi, Vienna e Madrid ancora prima nel tempo, di Roma in un lontano passato e che Berlino non è mai riuscita a occupare. Su questo hanno ragione Negri e Hardt, l’Impero non può che essere uno solo, non tollera concorrenti.

L’epidemia di guerre in corso sul Pianeta, ben più letale di quella di Covid le cui origini restano pur sempre un gaudioso mistero, non è per niente casuale. Le cosiddette democrature ovvero democrazie autoritarie, curiosa definizione che pare non accorgersi di rappresentare un ossimoro, sono all’attacco. Della Superpotenza, gli Usa, e quindi anche dei suoi alleati. Dell’Occidente in senso lato, perché Mito alla base della legittimazione culturale del dominio di europei, prima, e americani, poi. In quanto vogliono sostituirsi a esso. Applicando, poi, i medesimi criteri per mantenersi egemoni. Con tutti i benefici connessi.

Perché qui è il punto fondamentale da chiarire. Essere “dentro” l’Impero significa godere di indiscutibili vantaggi di ogni tipo, ma in prima istanza di benessere, sicurezza, supremazia culturale. Questo il significato di pax romana, per cui il Mondo era diviso in due: dentro e fuori il limes. Noi, Europa, prima come dominanti e poi come alleati della Superpotenza, siamo da secoli dentro. Vogliono sbatterci fuori. Meglio, l’obiettivo è conquistarci per sottometterci. Per sostituirsi a noi. Per ridurci come la Grecia quando l’Impero di Roma entrò in crisi: una landa desolata, senza speranze di redenzione alcuna. Se non in un ipotetico “Al di là”. È questo che vogliamo?

Dopo l’Ucraina e la serie di guerre ovunque, dall’Africa all’Asia, dopo Israele adesso, con le spade di Damocle di Taiwan e della Corea sempre pendenti, non ci possono più essere dubbi: non è questione di se, ma di quando. Essere attaccati, è chiaro. Le democrature si sono convinte che siamo deboli perché, prima di tutto, non abbiamo più voglia di combattere. Ci crogioliamo nel nostro benessere da tanto di quel tempo che ritengono irrimediabilmente compromesso il nostro spirito guerriero. Perché non abbiamo più fame. Forse sarebbe il caso di smentire tale convinzione. Come? Inviando un messaggio di volontà di resistenza. Aiutando Ucraina e Israele adesso, senza dubbio, ma soprattutto ricordando una massima di grande attualità, ancora una volta proveniente da quell’Impero che da sempre ispira chiunque: si vis pacem, para bellum. Servono più aerei, più navi, più cannoni, più carri armati, più soldati. Per evitare di doverli usare sul serio, combattendo nelle nostre città e dentro il limes. La storia di Roma è lì per ispirarci…mostrandoci anche come è andata a finire. Ce la possiamo fare, basta solo volerlo.