Faccio una breve premessa di carattere personale, per chi non mi conosca affatto o solo superficialmente. Io sono un anarchico. Non in senso sociologico, ma ideologico. Per la precisione un anarchico individualista. Lo so, ancora in tempi recenti mi sono lasciato invischiare in qualche avventura politica: perché resto un inguaribile ottimista, atteggiamento profondamente anarchico del resto, e tendo a dare fiducia alle singole persone nello sforzo di rendermi in qualche modo utile. Anche venendo a patti con le mie convinzioni e senza alcuna paura di sporcarmi le mani. Preferisco chi almeno provi ad agire, anche se in modo imperfetto, a quanti se ne restino immacolati nella torre d’avorio della loro purezza filosofica. Il che porta tanti a sbagliarsi sul mio conto. Succede lo stesso con la mia attività di storico, in cui utilizzo gli strumenti della riflessione geopolitica e strategica. I più faticano a comprendere che cerco soltanto di avere un approccio disincantato e realistico, utilizzando gli strumenti che ritengo di maggior efficacia nell’analisi del passato, e confondono lo sforzo di evitare i pregiudizi con l’adesione a ideologie a me lontane o a prospettive di cinico pragmatismo: non è così, è il mondo dell’homo sapiens a funzionare secondo regole proprie e lontane dalle mie aspirazioni e mi limito a descriverlo. Provando a non far interferire le mie opinioni con i fatti. Lo dico per onestà nei confronti di chi legge.

Detto questo, butto lì qualche considerazione su quanto accaduto sulla scena politica dopo l’ultima tornata elettorale e sulle prospettive, a breve termine, del Paese in cui tutti noi viviamo. È evidente che la Destra abbia vinto. Le urne hanno sancito per Giorgia Meloni un successo superiore persino al puro dato numerico: ha messo infatti in ginocchio pure i suoi alleati di coalizione, Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi, schiacciati dalla regola base da loro stessi voluta per spianarsi la strada verso Palazzo Chigi. Né Salvini e tantomeno Berlusconi avrebbero mai immaginato di doversi piegare a vedere Meloni nel posto cui entrambi hanno sempre ambito. Invece è andata così. La Storia è spesso piena d’ironia. Il risultato di Fratelli d’Italia sarebbe stato di proporzioni ancora maggiori se gli accordi pre-elettorali non avessero garantito una sovra-rappresentanza agli alleati. Come dire che Lega e Forza Italia possono leccarsi i baffi. Infine, al pari di ogni altra occasione, gli italiani stanno correndo in massa sul carro del vincitore. In tempi recenti era già successo con Lega, M5S e PD a guida Matteo Renzi. Niente di nuovo, dunque.

A favorire Meloni ci ha pensato anche l’opposizione. Perché non è proprio che la Destra abbia stravinto: ha raccolto un numero di parlamentari superiore al consenso popolare, miracolo della legge elettorale voluta a suo tempo da Matteo Renzi. Sono infinite le volte in cui i “suonatori” finiscono “suonati”, tanto per recuperare un vecchio adagio popolare. È il caso del cosiddetto Rosatellum. Del resto, a parte le sue storture maggioritarie pur essendo un’insana miscela con ampie tracce di proporzionale, rimane costante di lungo periodo che uniti tendenzialmente si possa vincere, mentre separati di sicuro si perde. Le divisioni della Sinistra sono tante e tali da garantire a lungo la permanenza di Meloni sulla poltrona di primo ministro. Impossibile immaginare un’alternativa credibile di governo quando l’opposizione si presenti frastagliata in quattro blocchi, Pd-M5S-Terzo polo e Sinistra radicale, i quali in linea di massima faticano anche solo a parlarsi tra di loro. E in ogni caso quando lo fanno, esprimano posizioni diametralmente opposte su molte questioni fondamentali. In questo modo, Meloni può tranquillamente occupare il primo consiglio dei ministri con un argomento insignificante, la repressione dei cosiddetti rave party, quando le urgenze geostrategiche e geoeconomiche meriterebbero la piena attenzione di qualunque esecutivo degno di tale nome. Se proprio vuoi occuparti dell’aspetto sicurezza delle nostre città, forse sarebbe stato più pregnante concentrarsi sul traffico di droga, che dilaga ovunque: dalle “piazze di spaccio”, come vengono definite, di Napoli e Roma al celebre Bosco di Rogoredo a Milano per finire con Via Piave in quel di Mestre. Invece il governo si è focalizzato, utilizzando proprio il pretesto della droga, su 34 rave party, tanti sono stati nell’ultimo anno in Italia come affermato dalla giornalista Lilli Gruber nella trasmissione Otto e Mezzo di mercoledì 2 novembre senza essere smentita da nessuno, dei quali 19 poi non si sarebbero nemmeno concretizzati. Una goccia insignificante rispetto ai danni sanitari, economici, sociali prodotti delle ndrine o dalle cosche o dalle famiglie di camorra ogni giorno in ogni angolo del Paese. Queste, però, si eleggono direttamente i loro senatori e ministri, probabilmente questa è la risposta corretta.

La stessa, forse, che serve a spiegare come mai l’opposizione si sia scagliata unita, alla buon’ora, contro il provvedimento, dimostrando di volere disperatamente abboccare all’amo con astuzia calato in acqua da Meloni. Le profonde implicazioni liberticide del Decreto possono anche trovarsi celate in qualche angolo della mente dei suoi estensori, di certo quello che da un punto di vista politico appare mostruoso è l’insignificanza dello stesso rispetto alle urgenze in campo. Se proprio ritieni la droga il problema base dell’Italia, allora ne liberalizzi il commercio, come già si fa con tabacco e alcool, e distruggi i colossali profitti esentasse dei narcotrafficanti. “Disintossichi” il Paese, eliminando non ciò che non puoi combattere, il consumo, ma quanto è possibile attaccare, il traffico e i comportamenti illegali. Difficile da vedersi attuato, visti i colossali profitti che la situazione attuale consente a troppi.

Qualcuno ha parlato di provvedimento “identitario”, come se un governo appena entrato in carica e sorretto da robusta maggioranza dovesse avere in testa di coprirsi con una coperta ideologica. Certo è che tale scelta mostra il primo dei pericoli per Meloni: il fronte interno. Fratelli d’Italia gode al momento d’indiscutibile egemonia culturale sugli alleati. Può sembrare sorprendente vista la sua matrice, la quale resta il fascismo sociale e movimentista degli inizi e della fine, ma è un dato di fatto. Cosa sia la Lega ormai non è chiaro neppure ai suoi fondatori, visto che Bossi, Maroni e diversi dei protagonisti di quel movimento hanno addirittura dato vita a un Comitato Nord, già diffidato da Salvini&Co. dall’utilizzare simboli ed emblemi della Lega stessa. Sarebbe persino comico se non descrivesse una realtà persino malinconica: la trasformazione di un movimento federalista, al punto da essersi diventato secessionista, in paladino del centralismo della “sovranità nazionale”. La politica è senz’altro l’arte di conciliare le diversità per conseguire un bene superiore, ma qua siamo in presenza di una patologia: è sdoppiamento della personalità, schizofrenia, assenza di coordinamento logico. Non per caso gli elettori, i quali non sono nient’affatto stupidi, alla brutta copia in salsa leghista hanno preferito l’usato sicuro di Fratelli d’Italia: se sovranismo dev’essere, meglio prendere l’originale garantito. Quanto a Forza Italia, si è sempre trattato del giocattolo personale di Silvio Berlusconi, seguendone fortune e declino psico-fisico. Il quale, il declino intendo, è ormai sotto gli occhi di tutti: il vero problema per Meloni è che i voti di Forza Italia le sono indispensabili in Parlamento e quindi deve faticosamente mediare con gli scarti d’umore di un uomo non più in grado d’intendere e di volere. Finché dura, ma sarà per poco. Non le resta che aspettare, sperando in una successione morbida e affidabile, tipo Tajani. Al prossimo turno elettorale Forza Italia, semplicemente, scomparirà ingoiata da qualcun altro.

Non resta che indagare se esistano margini perché gli avversari si ricompattino su un progetto comune. Perché di norma, è l’opposizione che si dovrebbe preoccupare di crescere e organizzarsi al punto di potersi presentare agli elettori quale alternativa credibile. Oggi sembra un’utopia. Perché se da un lato Salvini&Berlusconi subiscono e detestano Meloni e potrebbero buttarla a mare alla prima occasione, come un migrante qualunque, lo è altrettanto che tra i gruppi dirigenti di PD, M5S e Terzo Polo, nonché a titolo personale tra Letta, Conte e Calenda-Renzi, il solco di odio non sia certo minore. Direi tanto profondo da preferire la sconfitta della Sinistra alle elezioni pur di regolare i conti l’uno con l’altro. Ciascuno dei tre a un certo punto ha pensato di affidare agli elettori il compito di sbarazzarlo degli altri due. Finendo deluso. Nessuno è scomparso e se Letta si è dimesso, sarà sostituito da qualcuna/o che non si allontanerà granché dalla sua linea. Perché l’idea del “campo largo”, cioè l’unione di tutte le forze di Sinistra per sconfiggere la Destra è, a ben vedere, l’unica soluzione in termini di urne: non c’è nessun’altra strada per conquistare la maggioranza in Parlamento. Qualunque sia la legge elettorale.

Forse non è sfuggito che uso sempre i termini Destra e Sinistra ed evito il concetto di Centro. A mio modo di vedere il Centro non esiste. Non è mai esistito in particolare in Italia, dove una lunghissima tradizione storica racconta di divisioni tra Guelfi e Ghibellini e quando i Guelfi vincono tra Bianchi e Neri e via così, all’infinito. La scissione rappresenta l’imprinting genetico della politica della Penisola.  Vale in ogni schieramento e il passaggio compulsivo di parlamentari da un gruppo all’altro ne è prova ulteriore. Perché tali segmentazioni di rado hanno vere motivazioni ideali e affondano le loro radici nel sottosuolo dell’interesse personale.

Il campo largo poteva essere una soluzione che prendeva atto delle profonde differenze, ma trovava il collante necessario su alcuni principi di base: potremmo chiamarla Dottrina Letta. Europeismo, atlantismo, libero mercato temperato da un intervento pubblico attivo e quindi non limitato alla parte normativa, diritti civili, una società aperta, inclusiva sotto il profilo culturale e prospetticamente portata all’innovazione e alla costruzione del domani. In fondo, poteva bastare. Peccato che le problematiche personali abbiano prevalso, insieme alla fatale illusione di riuscire a liquidare i rivali di parte nell’ordalia elettorale. Ovviamente non è andata così, era pure facile prevederlo, e semplicemente ciò ha consegnato il paese alla Destra. La quale gioisce e governerà.

Il ragionamento appena esposto non giustifica in alcun modo le debolezze strutturali dei quattro blocchi di opposizione. Tralascerò nel commento solo la Sinistra radicale, perché si tratta di un fenomeno residuale che sopravvive politicamente solo per la necessità degli attori principali di drenare ogni voto possibile, ma inesistente a livello sociale: l’esplosione e dissoluzione della galassia comunista post fusione DS-Margherita, che diede vita al PD, ne è la prova più sicura. Si potrebbe dire che i “nostalgici” esistano sia a Destra che a Sinistra, ma soddisfino solo un bisogno individuale d’identità, senza contare nulla. Allo stesso modo degli anarchici, giusto per non dimenticare nessuno, i quali svolgono da tempo un ruolo di testimonianza e di trasmissione di un lascito ideale senza la capacità d’incidere davvero.

Cominciando dal PD, la debolezza cruciale del campo largo è di essersi presentato né più e né meno che come una sorta di cartello elettorale finalizzato alla mera sconfitta della Destra, in quanto tale. Personalmente potrei anche condividere, tuttavia non può sfuggire l’intrinseca debolezza della proposta. Servivano contenuti i quali non sono mai stati esplicitati e per quelli al contrario manifesti, quali europeismo e atlantismo oltre che il supporto alla resistenza ucraina contro l’invasione russa, si è assistito a un’abile azione di vampirismo da parte di Meloni: l’abbandono delle posizioni sovraniste per sposare una visione del tutto opposta ha sottratto al PD uno dei suoi veri punti di forza. Da questo punto di vista, PD e Fratelli d’Italia sono diventati sovrapponibili e le differenze si sono spostate su altri piani. Qualcuno potrebbe osservare che l’elettore avrebbe dovuto punire l’incredibile giravolta di Meloni, arrivata giusto sotto elezioni tra l’altro. Non è stato così. L’italiano si è confermato indifferente alla mutevolezza sorprendente nelle opinioni dei suoi politici di professione.

Per quanto riguarda il M5S, la pessima prova di governo e l’isterico attacco a Draghi da parte di Conte ne hanno falcidiato il consenso, facendolo sparire dal Nord e dal Centro Italia e riducendolo a mera espressione del peggiore rivendicazionismo di origine clientelare del Mezzogiorno. Sommandoci alcune posizioni neutraliste e pseudo-pacifiste di dissenso genericamente anti-occidentale ha ottenuto un risultato che ha sorpreso molti. Non certo chi conosca bene la natura spesso di vuoto ribellismo dell’elettorato italiano. È sopravvissuto, ma non andrà di sicuro lontano mantenendo tale linea, specie in tempi che invece richiedono di esprimere grande chiarezza di visione e qualità del ceto dirigente. Cioè quanto è sempre mancato al M5S, la cui parabola ricorda ogni giorno di più quella dell’Uomo Qualunque, non per caso anch’esso fondato da un istrionico dominatore di piazze e presto scomparso senza lasciare traccia alcuna.

Il Terzo Polo. Speriamo si dia almeno un nome vero, prima o poi. All’inizio aveva creduto che il richiamo al Partito d’Azione, quindi a Giustizia e Libertà, e a quella cultura laica, democratica, progressista, europeista e alfiere dei diritti civili del Manifesto di Ventotene, del Mondo di Mario Pannunzio, del Partito Radicale avesse trovato in “Azione” una nuova casa. Invece, non c’è giorno in cui i suoi esponenti, l’ultimo Enrico Costa mercoledì 2 novembre al Tg 2, non si proclamino “non-ideologici”. Si tratta dell’ultima tragedia italiana. Cosa significa essere non-ideologici? Non possedere alcuna idea. Bisogna uscire da questo equivoco, tanto caro ai tempi correnti. L’ideologia non è affatto un male, è necessaria. Se sostieni democrazia, libertà, inclusione sociale e via dicendo ti schieri ideologicamente. Allo stesso modo se neghi questi valori in nome di altri. Nessuno è non-ideologico. A meno di non essere un’ameba intellettuale. Quanto al programma politico, dichiararsi sostenitori di una generica “Agenda Draghi” quando lo stesso nega ne sia mai esistita una, significa solo consegnarsi al ridicolo. Infatti, l’unico aspetto chiaro della campagna di Calenda sono i suoi attacchi viscerali al PD e al M5S: di grazia, con chi, allora? Altrettanto evidente, però, è l’aver capito che meno Renzi parla e si mostra in pubblico, tanto meglio il Terzo Polo funziona. Renzi rappresenta l’autentica palla al piede di questo “blocco”: gli italiani, semplicemente, non lo sopportano più. Ancora una volta è riuscito a sopravvivere, ma non penso durerà oltre questa legislatura. Qualunque sia la sua durata.

Già, perché, non è mica poi tanto vero che possiamo scommettere sul fatto che arriverà a conclusione. Meno ancora che Meloni resista sul serio. Siamo il paese delle Idi di Marzo, dei Papi e degli Antipapa, dei già ricordati Guelfi e Ghibellini, delle fazioni che consegnano la Penisola agli stranieri, in materia Fiorentini-Genovesi- Milanesi e Napoletani vantano esperienze pluri-secolari: è sempre successo in passato, anche recentissimo, che il pugnale traditore si trovasse nelle mani di chi era più vicino a chi doveva essere eliminato. Per Meloni il vero pericolo, oltre che da Salvini e Berlusconi, viene da quanti la circondano. Riuscisse a evitare il pericolo, rischierebbe sul serio di diventare la Donna Dominante della politica italiana. A dispetto di tutto e di tutti. A cominciare da me. Del resto, si sa, nella vita le cose non vanno mai come si pensa o si spera e bisogna di continuo adattarsi alla realtà. La specie, del resto, funziona così: non importa siano uomini o donne a guidarne le sorti. Sarebbe bene capirlo.