Rus’ da cui russo. Partiamo da qui perché parlando con un amico questo ha osservato di non riuscire a cogliere grandi differenze tra ucraini e russi, i quali, dunque, non si vede poi perché non dovrebbero vivere assieme all’interno di un medesimo stato. Così come è avvenuto per secoli, del resto. Pensiero diffuso e che finisce per saldarsi con la considerazione in base alla quale l’attuale agire russo avrebbe la principale giustificazione di rappresentare, in buona sostanza, una reazione difensiva di fronte alla politica espansiva di Nato, da leggersi USA, e Ue verso la stessa Russia. Potremmo definirla corrente filo-russa italiana, la stessa che almeno dal Settecento in avanti è alla ricerca di un supporto orientale per bilanciare la tradizionale doppia minaccia, da Occidente e Settentrione, all’autonomia della Penisola. In sostanza, una off-set strategy tricolore per liberarsi dall’incombere di Francia, Germania e USA-UK nelle nostre vicende. La tesi è interessante per cui vediamo di approfondirla.

Rus’, dunque, la quale nasce a Kiev sul fiume Dniepr nel IX secolo quando il principe Oleg vi trasferisce il centro politico dello stato da Novgorod, non lontano dall’attuale San Pietroburgo, perché diventi baricentrico rispetto agli interessi strategici da soddisfare. Questi gravitano verso sud, il Mar Nero e l’unica città antica ancora intatta: Costantinopoli. Cioè la capitale stessa dell’Impero che noi siamo abituati a chiamare Bizantino ma dai greci, gli armeni, i macedoni e via dicendo dal quale è composto definito sempre e soltanto Romano. Al cui sovrano i rus’ forniscono mercenari molto ben considerati parte della sua Guardia, la quale per l’origine ha il nome di Variaga o Varangiana. Strano, dirà qualcuno, i variaghi, varangiani o vareghi non erano svedesi cioè norreni ovvero sia normanni o vichinghi? Come Helgi, del resto, trasformato in Oleg per slavizzarlo oppure Rørik o Rurik cioè Rjurik al quale viene attribuita la fondazione del principato a Novgorod agli inizi del IX secolo, muore nell’879 a quanto sembra, o ancora Ingvar, suo figlio minorenne sottoposto alla tutela di Helgi-Oleg fino alla maggiore età, che sposerà Herga, la Sant’Olga di ortodossi e cattolici i cui resti sono sepolti nella Chiesa delle Decime a Kiev. Rørik viene variamente descritto come svedese, danese al massimo mezzo slavo in quanto, forse, figlio di una coppia mista.

Lo stato, dunque, nasce quasi sul Baltico, Novogorod oggi Velikij Novogorod si può tradurre Cittanova, in un punto lungo il fiume Volkhov, che esce dal Lago Ilmen, e da qui, sempre via acqua, si sposta fino al medio corso del Dniepr, dando vita alla città e al principato poi noti come “di Kiev”. Il tutto seguendo le rotte commerciali a lunga distanza che portano mercenari, grano e schiavi, gli slavi appunto, dal cuore della pianura al centro commerciale, chiamiamolo hub così molti sono più contenti, di Costantinopoli là dove s’incrociano le vie che saldano il lontano Oriente, per noi della Seta, all’estremo Occidente. Qua incontriamo già in attività i veneziani, ma è solo un inciso.

È noto quanto i vichinghi, comunque denominati, siano stati grandi navigatori. Non solo. Sono celebri per i loro drakar, navi leggere e di poco pescaggio, in grado di risalire o discendere i fiumi. Arrivano con queste a Lutetia-Parigi, in America, in Iberia, ovunque. Poco dopo la fondazione dello stato di Novgorod da parte di Rørik, sull’Atlantico Rollo, per noi Rollone, procede in maniera analoga impadronendosi di una terra poi famosa quale Normandia. Entrambi utilizzano drakar dalla propulsione mista, velica e a remi. Cosa mai vorrà dire rus’? Secondo l’ipotesi di maggiore successo “uomini che remano”. Niente di più banale.

Siamo a Kiev, dunque, dove sorge questa realtà composita di “uomini che remano” arrivati dalla regione scandinava, con donne e figli al seguito, che si mescolano agli slavi presenti e dove s’incrociano antiche credenze di diversa origine con la nuova fede nata a Gerusalemme e dintorni, ma trasmessa in modo leggermente diverso dall’Occidente latino e dall’Oriente greco. Nell’XI secolo si costruisce il complesso di Pečrs’ka: monasteri e chiese dalle cupole dorate, dove trovano eterno riposo i corpi dei monaci ortodossi e vengono conservati straordinari tesori di gioielleria scita. Già, perché i norreni, svedesi o danesi che siano, e gli slavi non sono certo gli unici ad abitare la Grande Pianura fino ai Monti Urali. Vivono qui anche i discendenti di tutti i popoli nomadi abituati a considerare l’Eurasia un tutt’uno da percorrere a piacimento. Quindi, di sciti, sàrmati, goti cioè di varie popolazioni indoeuropee come norreni e slavi, ma anche di avari, unni, khazari, cioè turcofoni che si succedono nel tempo dando vita a culture spesso dagli esiti sorprendenti, come nel caso dei khazari i quali si convertono all’ebraismo e danno vita a un impero vasto e potente.

A Kiev, Chiesa di Roma e di Costantinopoli combattono una lunga guerra d’influenza, che attraverserà varie fasi, con la prima aiutata dall’espansione lituano-polacca che nel XVI secolo porta i confini della Confederazione nata dall’Unione di Lublino, 1569, a raggiungere il Mar Nero. Nel 1596 l’Unione di Brest fonda la Chiesa Uniata, dogmi cattolici e rito bizantino, nelle attuali Bielorussia e Ucraina. Contro il dominio polacco insorgono i cosacchi: in origine turco-tatari stanziati lungo il basso corso del Don e del Dnepr, che ben presto si trasformano in comunità militari a base fortemente slava, vocazione mercenaria, religione per lo più cristiano ortodossa. Sono un altro tassello del vasto e complesso mosaico di quella entità che noi chiamiamo Ucraina. Soltanto nel XVII secolo arrivano i russi di Mosca. Avviene quando le ripetute guerre contro la Polonia portano al Trattato di Perejaslav nel 1654 che, per la prima volta, pone l’Ucraina sotto la tutela russa. Inizia la decadenza della Polonia e l’ascesa della Russia culmina nelle campagne di conquista di Pietro il Grande, Elisabetta II e Caterina II, le quali portano l’Impero degli zar alla massima estensione. Zar, da scriversi più correttamente Czar e leggere Cesare.

Da questo momento l’Ucraina è Russia. Il che non significa che tutte le tracce precedenti spariscano, per finire triturate nel calderone della nuova realtà politica. La diversità, anzi, viene coltivata facendo leva sulle particolarità esistenti: una cultura con tratti suoi propri; un dialetto che viene elevato a lingua standardizzata veicolata sempre dall’alfabeto cirillico, ma che non è russo; la Chiesa Uniata; varianti locali di ideologie nate altrove come l’anarchismo di Nestor Makhno, leggendario comandante della makhovhchina capace di sconfiggere in serie tedeschi e austro-ungarici, i controrivoluzionari del Secondo Hetmanato e dell’Armata Bianca, i bolscevichi dell’Armata Rossa e i cosacchi di vari atmanati indipendenti. Geniale comandante militare, politico in grado di organizzare una realtà politica autonoma, basata su principi anarchici, e pensatore che lascia libri di memorie e di riflessione, Makhno muore a Parigi, in esilio, nel 1934.

L’Ucraina sovietizzata subisce l’Holodomor o Grande Fame: un’ecatombe, si parla di quasi 4.000.000 di morti per quanto difficile sia il calcolo, tra il 1932 e il 1933. Considerata genocidio da 16 stati nel mondo, atto criminale da altri 6, semplice tragedia da 5 organizzazioni internazionali. L’epopea di Makhno e Holodomor spiegano in gran parte l’entusiasmo con cui gli ucraini accolgono le truppe del Terzo Reich nel 1941 e come mai nelle file tedesche finiscano per militare in numero tale da formare importanti unità combattenti. Il resto è cronaca recente.

Volendo tirare le somme di questo discorso, sono gli ucraini un popolo diverso dai russi? Abbiamo visto in questo breve viaggio come gli ucraini vantino diverse e spesso assai lontane radici. Diciamo subito che non siamo in presenza di una loro caratteristica esclusiva. Innanzitutto è l’idea romantica, nel senso del movimento culturale e politico sviluppatosi tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, di popolo come “nazione originaria”, unitaria per lingua, cultura, tradizioni e aspirazioni a non avere fondamento. I popoli non sono, ma nascono, cioè si formano in un certo arco di tempo, lungo o breve che sia, e in un determinato territorio. Alla base c’è una scelta: esistenziale, culturale, politica. Una lingua viene eletta a strumento di comunicazione comune, utilizzata e insegnata in una forma standard per veicolare tradizioni per lo più inventate allo scopo, assieme ai valori fondanti la collettività. Tutto ciò diventa il patrimonio collettivo della nazione, la quale con ogni evidenza è sempre nuova. Il processo viene definito etno-genesi e riguarda tutti. Dagli etruschi ai romani, dai germani in ogni loro variante ai francesi, dagli ucraini ai russi, dai cinesi ai coreani e via dicendo. La materia prima necessaria sono esseri umani e un territorio: qualunque siano. Il caso degli USA è sotto i nostri occhi nel presente.

Da qui discende un corollario. Non esistendo la nazione, cioè un popolo con un’area quale culla ancestrale, è del tutto fasulla la singolare deviazione per cui lo stato altro non sarebbe che la forma naturale di auto-governo dei popoli nel “loro” territorio. Prima i popoli nel territorio, quindi lo stato. È vero il contrario. Lo stato è forma di governo del territorio, caratterizzata dal monopolio dell’uso legittimo della forza in quella zona. Nella quale chiunque si stanzi tende a venire trasformato in nazione. Roma provava a mutare tutti in romani, per esempio. Non è certo l’unico caso, anzi. Ancora gli USA ci mostrano un esempio d’attualità. Un processo che non è a senso unico, come non è lineare la Storia in generale. I sensi di marcia sono molteplici e complessi, variamente intersecantesi e interagenti: dalla molteplicità alla singolarità e viceversa, senza soste né tregua.

Gli ucraini esistono oggi perché lo vogliono e per questo si sono dotati di lingua, cultura, tradizioni e miti utili a formare una nazione capace di dare vita a uno stato. Ne hanno diritto? Né più, né meno di qualunque altra comunità lo desideri e abbia la forza per farlo. E noi? Bisogna valutiamo se un’Ucraina indipendente sia o no funzionale all’obbiettivo che abbiamo in testa e se il prezzo eventualmente da pagare sia proporzionato al risultato. Quando dico noi parlo di italiani-europei. Gli USA perseguono finalità spesso, ma non sempre, coincidenti con quelle europee. Bisogna tenerne conto. E i russi? È chiaro, sono tornati a essere un problema: dispongono di diverse armi, tra cui spiccano il gas ed elevate capacità cyber, per combattere una buona guerra ibrida al servizio di una politica di riconquista imperiale di territori e influenza. Rivogliono quanto perduto con la sconfitta nella Terza Guerra Mondiale, la cosiddetta Guerra Fredda in realtà il tipico conflitto ibrido anche se con i mezzi disponibili all’epoca. Per il resto, però, sono in difficoltà. Se non altro perché in genere è una cattiva idea attaccare i propri migliori clienti. Questo pur tenendo conto della Cina, convitato di pietra di quanto sta accadendo in Ucraina, la quale si propone all’Orso russo quale mercato sostitutivo per le sue materie prime e spalla ideologico-politica per la sperata riconquista.

L’interesse cinese in quanto sta accadendo, del resto, è notevole e multiforme. Se l’Ucraina cade tra qualche tempo la sorte di Taiwan è segnata. Senza fretta o anche rapidamente, dipende dall’entità del successo di Mosca. Se resiste, invece, la tenace isola ribelle ha speranza. Si tratta della ragione fondamentale per cui gli USA si sono fatti coinvolgere così tanto a Kiev e dintorni. Non possono perdere in Ucraina, altrimenti l’effetto domino sarebbe assicurato. Taiwan è geo-strategicamente di ben altro peso per Washington, facendo parte della prima catena di isole, quelle che imbrigliano e soffocano come un cappio al collo il dragone: dalle Curili al Borneo via Giappone, Taiwan, Filippine. Tutte le strozzature, i choke points, sono oggi in mano americane o di alleati fidatissimi, e Pechino vuole rompere l’assedio per avere libero accesso all’Oceano. Sembrerà strano, ma il destino di Taiwan si gioca oggi nel Donbass. Quanto al diritto, «[…] le norme del diritto internazionale non sono il prodotto di un potere superiore agli stati che semmai gliele imporrebbe, ma scaturiscono formalmente dalla stessa fonte di ogni diritto oggettivo: dalla volontà dello stato che pone il diritto[1]». Il che significa che il diritto nasce dalla forza, né più, né meno, con buona pace delle anime candide e degli spiriti religiosi.

 

[1] Lo scrive Georg Jellinek, Die rechtliche Natur des Staatenverträge, Wien, Hölder, 1880 ovvero archive.org e lo recupera Hans Kelsen, come ben evidenziato da AA.VV., Kelsen e il problema della sovranità, Napoli, ESI, 1990.