L’Europa è percorsa da brividi di paura. Improvvisamente l’incubo della guerra si è materializzato nelle sue strade. La paciosa indifferenza con cui i cittadini del Vecchio Continente si permettevano di sbirciare annoiati, tra una sorsata di vino o di birra, cosa diavolo mai succedesse altrove è svanita. I proiettili dei fucili d’assalto hanno ucciso nel cuore di Parigi. Chi li maneggiava non ha solo inneggiato ad Allah, Allah Akbar!, ma si è fatto poi uccidere con sovrana indifferenza per la propria vita. Questo è il primo punto da sottolineare.

I soliti buontemponi si sono scatenati, a cose fatte, criticando gli organi preposti alla sicurezza perché non hanno saputo “prevenire”. Come se fosse facile distinguere tra i vaneggi di un esaltato e i propositi, ben più seri, di un aspirante “martire”. Bisogna capire bene questo aspetto: è quasi impossibile fermare chi sia disposto a morire. Qualunque sistema di difesa parte del presupposto di scoraggiare l’attaccante prospettandogli di subire danni insopportabili. E quale maggiore della morte?

Ecco il punto: noi usiamo la nostra scala di valori. Al primo posto poniamo la vita. La nostra e quella dei nostri cari prima di altre. Non è solo l’istinto basico di sopravvivenza, è l’intero lascito della cultura occidentale a entrare in gioco. Gli aspiranti “martiri”, però, se ne fregano. Loro la cultura occidentale la rifiutano e basta. Avete presente cosa significa l’acronimo Boko Haram?

Bisogna che modifichiamo punto di vista. Non per accondiscendenza verso un sistema di valori inaccettabile, ma per capire quanto sta succedendo. E non cadere nella trappola in cui s’infilano persino raffinati intellettuali. Islamizzazione della Francia? Spontanea conversione per “crisi di stanchezza” ideale da parte degli europei? Follia. Meglio. Invenzione letteraria. Teniamola confinata nell’ambito del romanzo, per favore. Il solo pensiero delle mie figlie con lo chador, e magari costrette a un matrimonio forzato, più che spavento e ribrezzo mi fa venire voglia di infilare sul serio un caricatore in un fucile d’assalto. Già, a mia volta. Solo proiettili incamiciati. Giusto per essere sicuri. Perché i fucili d’assalto non ce li hanno solo “loro”. Forse in materia restiamo meglio equipaggiati. Qualche volta non sarebbe male ricordarselo.

Allora il nostro problema comincia a precisarsi. Dobbiamo prendere delle decisioni. Essere multiculturali, accettare stili di vita diversi non significa in alcun modo, mai, rinunciare ai valori fondanti. Solo che bisogna averli ben chiari in testa. Se non partiamo da qui non andremo da nessuna parte. A prescindere dal fatto che per tracciare una rotta ci servirà, poi, anche un porto d’arrivo. Vi sembra possibile arrivare là dove non si sa? Qua non abbiamo a che fare con la favola dell’”isola che non c’è”, nessun gioco di bimbi mai cresciuti, Peter Pan e la sua banda restino nel mondo della fantasia. Ci serve una meta, dobbiamo salpare da un porto certo.

Islam significa “sottomissione”. Il pensiero occidentale ne ha cancellato il concetto da secoli. Attraversati da rivoluzioni sanguinose, dove anche quelle chiamante poi “gloriose” hanno fondamenta alzate sulle teste tagliate dei re. Vedi Inghilterra prima di Francia. Le teste dei re a rotolare, i triregni dei papi a “sottomettersi” alle leggi votate dai parlamenti. Gli europei, e i loro parenti stretti d’oltre Oceano, hanno spezzato le catene della “sottomissione” e cercato invece la “libertà”.

Detta così sembrerebbe facile. Tra “sottomissione” e “libertà” non dovrebbe esserci partita. Invece le cose non sono mai semplici. In realtà anche la “sottomissione” presenta dei vantaggi e la “libertà” aspetti negativi. Specie quando la prima si coniuga con “solidarietà”, “sobrietà”, un quadro sociale stabile mentre la seconda diventi sinonimo di miseri, sfruttamento senza regole, sopraffazione, caos…

Succede poi che con molto approssimazione si scomodi la Storia. L’illustre sconosciuta di articoli di giornali e riviste, servizi televisivi e conversazioni da bar diventa necessaria per dare un briciolo di dignità ai propri pregiudizi. In genere parlando di Islam si finisce per scomodare l’Età dell’Oro altomedievale, quando la parte meridionale del Mediterraneo era di gran lunga più avanzata. Ci si dimentica, in genere, che si tratta di un dato, per l’appunto storico: per centinaia d’anni è stato così. Se Roma è caduta mentre Costantinopoli/Bisanzio è sopravvissuta la ragione di fondo risiede nella maggiore ricchezza, non solo economica ma anche economica, della sponda sud rispetto a quella nord. Gli Arabi hanno ereditato questa realtà. La loro cultura si è nutrita di Aristotele e Platone, di Euclide e Ippocrate… dimenticati in Occidente, è vero, ma riportati in vita da una schiera di raffinati intellettuali, spesso ebrei, ma guarda un po’, che hanno trovato nelle società, queste sì multietniche e multiculturali, del Mediterraneo meridionale il terreno ideale per tornare all’attenzione delle menti educate. Perché l’Occidente, nel frattempo impoverito e fanatizzato, li aveva dimenticati.

Così come il modello di base della moschea ottomana altro non è che Santa Sofia rielaborata, quindi una chiesa greca, troviamo nelle vene del periodo d’oro del Califfato tanta di quella linfa d’Occidente da provare meraviglia.

Meraviglia? La cultura e la civiltà non sono prerogative di nessuno, in realtà, ma circolano, liberamente, nell’unica realtà dell’Universo Liquido. Forse dovremmo imparare ad accettarlo. Senza mai abdicare ai fondamenti del nostro essere singoli e società: libertà, uguaglianza e fratellanza. Altro che “sottomissione”! E se arrivano i nuovi barbari a tentare la conquista a colpi di fucile d’assalto? Beh… qualcuno ha scritto, tanto per rimanere nella Storia: “(…) per combattere i barbari bisogna comportarsi da legionari. Non da borghesi.” Credo abbia ragione.