Il 17 aprile 2015, su Luminosi Giorni ho pubblicato questo articolo. Mi sembra di grande attualità, quindi ve lo ripropongo…

Guelfi vs. Ghibellini ovvero il trionfo del Trasformismo

Assisto attonito alle lotte intestine che devastano il quadro politico italiano. Ogni giorno, l’impatto con le notizie mi riserva nuove sorprese. Parliamoci chiaro, si usano parole come “dissenso” per vestire con panno più morbido e nobile la realtà. Questa racconta di guerra civile continua, condotta senza esclusione di colpi in vista dell’unico obiettivo perseguito: il potere.
Esagero?
Le ideologie sono morte, ci ripetono con stucchevole insistenza. Destra e Sinistra sono parole prive di senso. A dominare la scena oggi è il concetto di “pragmatismo del fare”. Sai la novità…
Tra gli ultimi due decenni dell’Ottocento e fino allo scoppio della Grande Guerra la scena politica nazionale è dominata dal Trasformismo. Agostino De Pretis, Francesco Crispi, Giovanni Giolitti ne sono gli indiscussi protagonisti. Anche allora si diceva che Destra e Sinistra non indicavano più nulla. Compito del politico è quello di farsi interprete dell’interesse generale e di coagulare attorno a questo chiunque sia disposto a contribuire. Giolitti, in particolare, s’impegnerà nello sforzo di “sterilizzare” l’antagonismo sociale dell’opposizione radicale del tempo, socialisti marxisti e anarchici in particolare, al punto da fornire ampio materiale ad Antonio Gramsci per sviluppare il concetto di egemonia culturale.
Cioè?
Di fronte all’evidenza che la predizione marxiana sull’inevitabile rivoluzione comunista prossima ventura si rivela sbagliata, Gramsci spiega tale esito inatteso con l’esercizio da parte della borghesia capitalista di una supremazia culturale, l’egemonia appunto, capace di bloccare lo sviluppo dell’autocoscienza proletaria. Per questo, compito basilare dell’avanguardia di classe, incarnata dal Partito, dev’essere quello di ribaltare i rapporti di forza in campo culturale per spianare la strada al pieno dispiegarsi delle forze rivoluzionarie.
Giusto? Sbagliato?
Vorrei osservare che in tanti hanno giustificato il successo del ventennio berlusconiano, inspiegabile sotto molti altri profili, con il controllo del mondo televisivo da parte del magnate lombardo. Qualcuno ha parlato di teledemocrazia. I modelli esistenziali proposti dai canali Mediaset avrebbero spianato la strada ai successi elettorali. Io condivido. Siamo proprio nel campo dell’egemonia culturale gramsciana.
Del resto, la migliore definizione di cultura resta a mio parere quella del tedesco Georg Mosse: “Mentalità suscettibile di diventare stile di vita.”
Se la massima aspirazione delle giovani generazioni è “entrare nel mondo dello spettacolo”, perché questa è meta degna di qualunque sacrificio, persino della prostituzione fisica alle voglie del Sultano, è chiaro come il sole che l’indottrinamento berlusconiano ha sortito i suoi effetti. Ha imposto una scala di valori ora condivisi dalle masse. Come il lifting, i capelli finti, il tacco 12 e via dicendo.
Il cosiddetto “pragmatismo del fare” e il Trasformismo condividono un’idea di fondo: conta solo il risultato. Raggiungerlo, giustifica qualunque percorso. L’aveva già detto un certo “segretario fiorentino” nei primi anni del Cinquecento e Macchiavelli, si sa, resta di gran moda nel Bel Paese.
Si potrebbe anche essere d’accordo se la meta in questione fosse il già citato “interesse generale”. Sfortunatamente, però, sappiamo da bravi storici che il Trasformismo degenerò subito in malaffare, corruzione, occupazione di cariche pubbliche a fine di guadagno personale, compravendita di voti, favori e via dicendo. Scandali colossali, Banca Romana per esempio, scossero dalle fondamenta il fragile edificio del giovane Regno d’Italia. Duraturo il marchio d’infamia per una classe politica capace di accanirsi con le tasse su una popolazione allo stremo e presa a sciabolate dai Regi Carabinieri.
Niente di nuovo, vero?
Ultimo risultato del Trasformismo e della distruzione dei partiti, conseguente all’annientamento della distinzione tra Destra e Sinistra, il fatto che ciascun eletto, in particolare i deputati della Camera, finì per mettere all’asta il proprio voto: la fedeltà divenne personale, il più delle volte ceduta dietro compenso.
L’attualità della Storia continua a lasciarmi senza fiato.
Il “pragmatismo del fare”, la sbandierata deideologizzazione dei partiti, anzi, addirittura la programmatica demolizione di queste superate forme di organizzazione dell’azione politica, portano a identici risultati. Basti pensare a quanti candidati Presidente di Regione e Sindaco della futura tornata elettorale hanno effettuato “il salto della barricata”. È sufficiente osservare il numero di deputati e senatori in perenne migrazione da un Gruppo all’altro. Senza vergogna. Per un piatto di lenticchie. A spese dell’intera nazione.
Tale spietata centrifuga della correttezza si combina meravigliosamente con l’innata caratteristica italiana alla guerra fratricida. Siamo il paese dei Guelfi contro i Ghibellini. E se va male e i Guelfi vincono? Niente paura, provvediamo subito e ci dividiamo in Bianchi e Neri, proseguendo in partizioni sempre più minute, ognuno attento solo al proprio particulare ridotto ormai a dimensione familiare. Anzi, no, perché allora scatta il famoso detto “parenti-serpenti”.
Non c’è dubbio, abbiamo un grave problema culturale e un deficit etico da colmare. Si può fare, si deve agire ma mettiamo dei punti fermi. Il primo è questo: le ideologie non sono dei singolari demoni da esorcizzare ma forniscono, al contrario, i valori fondanti di una comunità. Sono indispensabili. Lo è anche la forma-partito, distrutta la quale non resta altro che il rapporto diretto tra massa e singolo politico che diventa “leader”.
Abbiamo già visto come va a finire. Se la Storia ha qualcosa da insegnarci, usiamola ed evitiamo di trovarci alle prese con “l’eterno ritorno dell’eguale”. Guelfi e Ghibellini proviamo a lasciarli all’interno dei libri, piantiamola con la litania della “morte delle ideologie” e invece cominciamo a rivalutarle. Dai loro fondamenti etici abbiamo molto da imparare. Un esempio? Settimo: non rubare.