di Federico Moro, Edizioni Helvetia (Spinea)
ISBN 88-88075-22-4

Lo spunto è offerto da una notizia di Tito Livio. Lo storico patavino racconta nel libro X° della sua Storia di un’incursione a scopo di razzia da parte di mercenari Greci e Galli a danno dei Veneti. L’episodio non è confermato, né da altre fonti, né da qualche evidenza archeologica, tuttavia s’inserisce in quel contesto culturale che, durante il principato di Ottaviano Augusto, cercò di accreditare la teoria di una derivazione di Roma dalla Troia distrutta dagli Achei. In ambito veneto questo produsse la leggenda dello sbarco alle foci del Brenta, allora Meduaco, del fuggitivo Antenore e degli Enetoi di Paflagonia. Mito tanto resistente da attraversare i secoli e trovare nuovo impulso nella Padova umanistica di Marsilio Ficino.
In La voce della Dea tale insieme di leggende viene collegato al dato storico della presenza nella Pianura di Euganei prima, Reti e Veneti poi, uniti dal culto riservato a una misteriosa Dea Madre: la Pora degli Euganei diventata Reitia presso i Veneti. Divinità il cui Santuario principale si trovava ad Ateste sulle rive del fiume Atesis, l’odierno Adige. Il romanzo scandaglia questo lontano passato, ricostruendolo, fin dove possibile, con scrupolo e fedeltà. Soprattutto, cerca di farsi interprete del mito, divenendo esso stesso parte dell’epos, per ricordare la fondamentale importanza non solo della conoscenza, ma della sua valorizzazione. L’assunto è che l’importanza della Storia risieda proprio nella capacità di conservare e trasmettere l’universale.
La voce della Dea si presenta pertanto come romanzo sui valori intangibili, quelli non suscettibili cioè di alcuna trattativa né concessione, quali libertà, giustizia, necessità dell’azione, fondanti l’identità di un individuo (io sono, valgo, voglio) e di una comunità. La memoria qui non è mai nostalgia, ma ricerca, conservazione e trasmissione di tali valori sulla base di due assunti chiave: che maggiore di ogni ostacolo e paura c’è il coraggio del singolo e che essere forti non significa non cadere, ma rialzarsi. Questa l’ambizione de La voce della Dea, che ha cercato di coniugarla con le esigenze di scorrevolezza e i ritmi propri di una vicenda incentrata sull’azione.
Da sottolineare, infine, per quanto riguarda l’ambientazione, l’aspetto del paesaggio, ricostruito a partire dalle informazioni disponibili per l’epoca, ma con l’intenzione di farne un vero e proprio personaggio della storia narrata.

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