Un romanzo. Una volta ero lettore accanito di narrativa, ma negli ultimi anni ho diradato parecchio la mia frequentazione del genere. Ho patito troppe delusioni appena varcata la soglia della prima pagina. Vicende inverosimili, personaggi sconclusionati, finali affidati ai miracoli di un’invenzione che deve tutto risolvere con un colpo di bacchetta magica: perché l’autrice/ore si è persa/o nelle paludi di un’invenzione improbabile. Tra tutti, i peggiori sono i cosiddetti “romanzi storici”, dove di storico c’è solo il titolo. Poi abbiamo fantasy, gialli e noir con pretese di spiegare l’anima del Mondo e i segreti della realtà quotidiana attraverso vicende e caratteri evanescenti come l’atmosfera in cui galleggiano. Infine memoir in cui solo il ricordo dello scrittore è sicuro, perché il resto si perde nel vuoto.

Insomma, alla fine la domanda che mi sono posto è semplice: possibile che gli autori contemporanei si rifiutino di raccontare il loro tempo e i loro luoghi, così come sono? Di far muovere persone vere su un orizzonte concreto, di costruire solidi personaggi “in carne e ossa” in azione negli spazi reali delle nostre città-campagne-montagne? Questo mi piacerebbe trovare, un narratore che racconti il nostro presente. Sembrava una pia speranza fino a quando non mi sono imbattuto in un delizioso volume dal titolo singolare: La classe di Agosto.

Devo ammettere che all’inizio sono rimasto un po’ perplesso. Credevo che l’Agosto del titolo si riferisse al mese che porta il nome del primo imperatore romano. Mi aspettavo, dunque, di avere di fronte una qualche forma di narrazione, per così dire, estiva. Invece, mi sono imbattuto in Massimiliano Agosto, l’eroe eponimo del libro, un ragazzo corpulento e dai capelli biondi che il primo giorno di scuola inizia non alzandosi quando il professore entra.

Il dettaglio non è di poco conto. Non appartiene certo al presente l’immagine di una classe che scatti in piedi all’ingresso di un docente. Diventa un particolare quasi letterario, un frammento di passato incastonato in una vicenda invece giocata per lo più nell’attualità. Agosto poco per volta sfuma sull’orizzonte, che si riempie invece di un nuovo protagonista-voce narrante, l’insegnante Marco Vasta al quale Massimiliano Agosto aveva, di primo istinto, rifiutato il segno di alzarsi dalla sedia.

Il titolo, però, non inganna: richiede solo una lettura meno superficiale. Perché siamo di fronte alla “classe di Agosto”. Ed è questa, la classe appunto, a essere il vero campo di analisi dell’autore. Siamo di fronte, quindi, a un soggetto collettivo, l’insieme di allievi, maschi e femmine, che compongono il microcosmo in movimento di un gruppo di adolescenti in azione sulle rive dell’Isonzo, in una città che è Gorizia. Oggi.

Non c’è dubbio, Marco Vasta è osservatore caratterizzato da dolente curiosità. Anche perché si vede costretto a confrontarsi con una realtà varia e dai problemi complessi quanto possono essere quelli di una società da un lato parcellizzata e individualista, dall’altro globalizzata quanto ad attese e speranze, illusioni e drammi. Incontreremo così vicende di droga e di sentimenti traditi, di amicizia e di odio, di slanci generosi e di codardia, di amore… spesso perduto: l’intero panorama, insomma, dei drammi e delle speranze umane concentrato nello spazio fisico e sociologico di una classe di scuola. Della quale insegnanti e personale vario diventano semplici estensioni, perché articolazioni della medesima realtà ovvero di quanto sta fuori l’antico edificio in cui si trova la classe e che supera il debole diaframma dei muri, irrompendo all’interno.

I luoghi fisici, come appunto la scuola, quale metafora del destino umano, sempre proiettato verso un altrove che eternamente ritorna alle proprie radici. Così come Agosto, lo strano studente dal cognome singolare, il quale sembra riassumerle in sé stesso o forse semplicemente al pari del suo insegnante, Marco Vasta, ne diventa il grande catalizzatore. Qua, sulle rive dell’Isonzo le cui acque scorrono sempre uguali eppure diverse, accarezzando le rive o prendendole a schiaffi, torbide o trasparenti, solcate da suoni, attraversate da mille forme di vita. E allora ci si accorge che il passato è tutto incluso nel presente così come il futuro, che s’intuisce mentre ci s’avvia alla conclusione di questo anno scolastico pieno di eventi e di svolte impreviste attorno al perno di due autentiche tragedie.

Marco Vasta vede e registra con fedeltà, geologo dell’anima dei suoi allievi, testimone non passivo perché coinvolto per le sue vicende personali in quelle di chi gli sta vicino e tutti insieme sono cellule del vasto organismo chiamato città. Quante cose può raccontarci uno spaccato di realtà contemporanea! In particolare se a farlo è lo stile sobrio e disincantato di uno scrittore garbato e di talento. Da leggere. Senza dubbio.