Il Porto: due passi nella Storia.
Ogni volta che ci si confronta con le realtà complesse chiamate città bisognerebbe chiedersi: qual è la loro natura? Questa, infatti, dipende dalla collocazione geografica, quindi da dove si trovano; dalla superficie che occupano, cioè dal terreno su cui sorgono; dal carattere degli abitanti, prodotto di luogo, valori ed esperienze. Riassumendo il tutto, dalla loro Storia.
Qual è la natura di Venezia? La risposta è secca: porto. Il quale non è una semplice attività economica tra le tante, neppure solo la principale, ma rappresenta l’anima della città, la sua identità. Ce lo dice la Storia.
Il Mito racconta di una Venezia sorta un po’ alla volta come rifugio di genti in fuga da guerre, miseria, mancanza di futuro. La Storia, al contrario, ci consegna il ritratto di una serie di scali portuali attivi sin dai tempi più antichi, che lentamente si fondono e ne formano uno unico di grandi dimensioni. I profughi arrivano dopo, alimentando centri preesistenti e contribuendo, grazie al loro elevato numero, al processo di unificazione, crescita ed espansione.
Grazie alla nuova base demografica costruita dai migranti, i porti situati a ogni sorgitore presente sulla costa prosperano e generano una metropoli: si chiamerà prima Civitas Rivoalti e quindi Venetia. Come Civitas Rivoalti si conquista l’indipendenza e quindi il ruolo di grande potenza marittima.
Diversi studi negli ultimi decenni hanno ricostruito dal punto di vista archeologico la pre-esistenza della città rispetto alla descrizione fattane dal Mito, mentre la Tavola Peutingeriana ci offriva già una visione pittorica della realtà. Perno del filo di perle degli scali marittimo-fluviali lungo la costa alto adriatica, l’antico veneta e quindi romana Altino. Sotto ogni aspetto la matrice di Venezia: solcata da canali, con fondamenta, case-fondaco e realizzata con la particolare tecnica costruttiva che permetterà il miracolo statico dell’attuale Centro Storico.
Porto, dunque, somma di porti scaglionati a formare un’unica cerniera tra mare e terra. Con i fiumi quali vie d’acqua per penetrare all’interno o scendere fino all’Adriatico. Uniti i loro corsi dall’invenzione forse più geniale: le fossae per trasversum. Probabile invenzione antico-veneta, ripresa da etruschi e greci, perfezionata dai romani che permette la continua circolazione dell’acqua. Niente ristagno, quindi assenza di malaria come annotavano stupiti Plinio il Vecchio e Strabone. Anche, però, formidabile via di comunicazione interna, perché collegando tra loro i diversi corsi fluviali permetteva di navigare da Ravenna a Grado senza mai uscire in mare aperto.
I veneziani, esperti dei luoghi e decisi a conservare intoccate libertà e benessere, si sono dedicati ossessivamente alla manutenzione del “territorio”. Per conservare la sua natura anfibia e la rete dei vitali collegamenti fluviali. Ai quali spesso, come al tempo della Guerra di Chioggia, devono la salvezza: non per caso il genovese ammiraglio Pietro Doria punta alla conquista di Chioggia, che darà il nome all’intero conflitto. Da lì parte, infatti, il Canal Lombardo o di Lombardia, che via Adige e Tartaro-Canal Bianco collega da sempre la laguna con il Po. Cioè con i necessari rifornimenti alimentari.
Una natura anfibia, però, messa di continuo in pericolo proprio dai fiumi. I loro detriti, i fanghi e le sabbie trasportati fino al mare producono interramenti e modifiche della linea di costa. Si vede ad Adria, oggi trenta chilometri dal mare, o Classe, del tutto scomparsa. Servono provvedimenti importanti. A Venezia li prendono senza esitazioni.
Cristoforo Sabbadino detto “il Moretto” è un chioggiotto leggendario come ingegnere e proto del Magistrato alla Acque. Merita senz’altro la fama che si è conquistata. Sul campo. Cosa propone e fa? Un ulteriore intervento sul fiume Brenta, il cui delta rappresenta l’origine e la morte certa per la laguna, già ridotto a foce e deviato nel Trecento con il conseguente innalzamento di un argine come muraglia lungo quasi l’intero sviluppo della laguna sud. Non solo, nella celebre disputa con Alvise Cornèr afferma che i canali lagunari devono essere di continuo scavati e i fanghi così recuperati utilizzati per ampliare la superficie urbana.
Spostare i fiumi, del resto, è un vero marchio di fabbrica dell’approccio veneziano al problema- laguna. Nel tempo, tocca al Piave, altro delta ridotto a foce, il Marzenego, lo Zero, fino al lavoro più incredibile: tra il 1600 e il 1604 sarà deviato il ramo principale del Delta del Po.
Il fatto è che avevano ragione. La laguna è un ambiente nato in epoca storica e soggetto a continue trasformazioni se lasciato a sé stesso. In particolare, abbandonato al libero gioco degli elementi, finirebbe interrato. Questo i veneziani non lo volevano in nessun modo. Anche perché avrebbe distrutto la natura di porto della città. Non di un porto qualsiasi, inoltre. Ce lo dimostra la Geografia.
Nell’Alto Adriatico s’incrociano i due assi viari europei fondamentali: Nord-Sud ed Est-Ovest. Tornando al Mito si chiamano Via dell’Ambra, Baltico-Mediterraneo, e Via di Eracle, Eurasia-Iberia. Oggi, Corridoio 1 e 5. Su di essi s’innesta direttamente l’autostrada liquida dell’Adriatico che conduce le navi sino al punto di costa più vicino al cuore dell’Europa: quello del Golfo, appunto.
L’Adriatico, però, è il prolungamento delle vie d’acqua dell’Egeo e del Mar Nero dove, prima dell’apertura di Suez, giungevano i terminali delle Vie della Seta, marittime e terrestri. Un sistema circolatorio per uomini e merci che affonda le sue radici nell’Antichità, tant’è che Alessandro Magno ne seguirà i tracciati nella sua galoppata fino all’Indo.
Oggi c’è Suez ampliato. Mediterraneo-Mar Rosso-Oceano Indiano e Mar Cinese formano un insieme unitario di rotte e scali: il Cindoterraneo. Dall’altro lato, poi, il Mediterraneo allargato mette in comunicazione diretta Mar Nero e Oceano Atlantico. Vie marittime e terrestri, le seconde costituite da strade e ferrovie, a formare il vitale intreccio si cui scorre il commercio ovvero il motore del Mondo. Da sempre. Fatto che spiega perché Venezia è stata, è e sarà anche in futuro porto. E quindi Porta sul Mondo e Ponte tra Mondi. Perché l’acqua unisce, luoghi, persone e culture.
Si potrebbe obbiettare che i bassi fondali lagunari rappresentano un limite invalicabile. Da un punto di vista storico il problema non esiste. Quando i vascelli di sei metri di pescaggio non potevano transitare per la bocca di Lido prima si è subita la crisi derivante dall’evoluzione della tecnologia navale, dopo si è scavato. Così come facevano i veneziani d’un tempo. Come procedono tutti in ogni parte del pianeta. Senza eccezioni.
Anche perché, non dimentichiamolo, di tutto il resto, invece, c’è grande abbondanza. Chilometri di banchine attrezzate, con i binari ferroviari che arrivano sotto le navi come i TIR in grado d’immettersi subito nella vasta rete autostradale italiana ed europea. E spazio. Tanto. Per depositi, magazzini, uffici, officine, qualsiasi cosa.
Nessuno nell’intero Adriatico dispone di qualcosa di paragonabile. Trieste? Ha diciotto metri di fondale, vero, ma ha solo questo: acqua. Il Carso incombe come una condanna definitiva. Non per niente la città “teresiana” nasce grazie al progressivo interramento di fette di mare. Ce lo ricorda il Molo Audace, un tempo San Carlo dal nome del relitto della nave lì affondata che venne utilizzata quale base per la nuova costruzione.
Venezia, dunque, è porto: l’ha scritto nel DNA sin dalle origini. Un porto che da troppo tempo è trascurato e vittima di un singolare complesso d’inferiorità. È tempo di liberarsene.