Noi italiani siamo un popolo di masochisti, è noto: siamo talmente bravi ad autoflagellarci che gli stranieri non devono fare proprio alcuno sforzo per trovarci difetti. In fondo, basta e avanza che leggano quello che scriviamo e diciamo di noi stessi.

A questa osservazione ne aggiungo una seconda: abbiamo un vero talento per utilizzare a nostro danno le varie classifiche che ci penalizzano. Come risaputo studiate ad arte per favorire chi le concepisce, è noto infatti quanto la risposta dipenda dalla domanda, eppure elevate a paradigma certissimo quando a nostro sfavore. Tranquillamente ignorate se, al contrario, ci consegnano posizioni di rilievo.

Vengo alla notizia del giorno. Nel ranking, orribile anglismo al quale ricorro solo per farmi ascoltare, stilato dalla Pennsylvania University l’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, risulta il think tank più promettente per il 2018. Bruciati uno dopo l’altro Heritage Foundation, Brookings Institute, Wilson Center, Ifri (Institut français des relations internationales), Carnegie… insomma, l’intero Bel Mondo dei pensatoi impegnati nelle analisi in campo economico, politico, militare. Detto con una parola sola, strategico.

Un risultato ottenuto comparando l’attività di 7.800 organismi di vario genere impegnati nella medesima attività in tutto il mondo. Questo il risultato del Global Go To Thnik Tank Index Report.

Un risultato davvero brillante che si somma agli ottimi risultati ottenuti già nel 2017: secondo posto nella categoria Best Think Tank Conference 2017, per la terza edizione di Rome Med, diciassettesimo posto assoluto in Europa, con una scalata di ben dodici posizioni, e via dicendo.

Insomma, la riflessione strategica di casa nostra non sta affatto male. Quindi può fornire ai decisori politici un’analisi e dei suggerimenti di ottima qualità. Un fatto che non garantisce l’esito finale, è chiaro, ma ne rappresenta senz’altro una buona e comunque indispensabile premessa.

Perché racconto tutto questo? Troppo spesso siamo abituati stracciarci le vesti per la nostra presunta insufficienza, quasi in ogni campo del sapere e dell’agire. Se è vero che l’erba del vicino è per definizione “più verde”, dobbiamo ammettere che quando allunghiamo lo sguardo fuori dai nostri confini bisognerebbe essere un po’ più smaliziati.

Se non altro per un motivo fondamentale: indebolire sistematicamente l’autostima produce danni incalcolabili. Penso alla propaganda battente che subiscono i nostri migliori studenti per andare all’estero. Ai continui racconti di meravigliose e ben retribuite carriere aperte a chiunque quando, al contrario, all’interno del paese non vi sarebbe alcuno spazio per talento e merito.

Ragazzi, non credete a tali sciocche sirene: semplicemente non è vero.  Certo, se paragoniamo sempre le nostre peggiori esperienze con le migliori altrove non se ne uscirà mai. Come bisognerebbe cominciare a raccontare la verità sulle avventure internazionali dei nostri giovani talenti. Per uno che ce la fa, mille finiscono a raccogliere frutta in Australia, a fare i camerieri a Londra o gli impiegati di sportello a Berlino.

Perché si tace sempre su tale realtà? Per quale ragione trovarsi precari e sottopagati a Parigi o Toronto dovrebbe essere una meta cui aspirare?

L’unico risultato tangibile è quello d’impoverire il paese di risorse umane, in termini d’intelligenza e puro e semplice lavoro. Costati assai cari alla casse del contribuente.

L’erba del vicino non è affatto sempre “più verde” e guardare, senza alcun filtro critico, ai radiosi orizzonti oltrefrontiera dimostra solo scarsa conoscenza della realtà oppure un pigro adagiarsi su una vulgata banale e stantia.

Curiosità e anticonformismo, invece, sono le premesse per qualunque tipo di creatività. Soprattutto per quella che determina la nostra esistenza, in quanto individui e comunità. Allora, cominciamo a sfatare un po’ di luoghi comuni, esaminiamole davvero queste presunti oracoli che sono le “classifiche” ovvero i ranking e prendiamo coscienza di ciò che siamo. Una simile immersione nella concretezza non può che far bene. A tutti noi.